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di Ivana FABRIS
Mi chiamo Maria.
Mi chiamo Maria e sono legata qui, a questa sbarra. Le braccia allargate come fossi stata crocifissa.
Sono in ginocchio, nella polvere ormai bagnata dalle mie lacrime, dalla mia saliva, dalla mia urina, dal mio sangue.
Riesco ancora a sentirlo scendere copioso dalle mie natiche fin giù, giù lungo le cosce, verso le mie ginocchia.
Lo sento sgorgare a fiotti. E’ caldo ma quando arriva a lambirmi le ginocchia è ormai freddo. Come il mio corpo, qui, nudo, esposto all’aria di questa notte di maggio in cui, ormai lo so, morirò.
La mia mente sta scivolando via, quasi non sento più il dolore. Quanto è stato atroce sentire attraversare il mio corpo da quella rigida asta di legno che mi ha trafitto le viscere, la mente, la vita.
Eppure era una notte così bella da trascorrere con i miei bambini. Che non rivedrò.
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un bel post dedicato alle troppe marie di questo mondo…ciao pietro
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Ciao Viki, buona giornata 🙂
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