Lotta di classe, globalizzazione, sviluppo tecnologico.
Le organizzazioni della sinistra si sono fermate, ma la lotta di classe continua e la sta vincendo il capitalismo.
L’internazionalizzazione del capitale ha modificato sostanzialmente la struttura dei mercati, la situazione economica, livellando al basso le condizioni di vita, economiche e di organizzazione, delle classi proletarie.
Ai tempi di Marx il capitalista era padrone dei mezzi di produzione, decidendo il prezzo finale del suo prodotto, gestendo quantitativamente il suo profitto; il mercato globale ha lasciato questa prerogativa soltanto a poche multinazionali ed operatori finanziari.
Quindi assistiamo al fenomeno di molte piccole e medie industrie e laboratori artigiani i cui titolari sono proprietari della tecnologia di produzione, ma non sono più in grado di determinare il costo delle materie prime e del prezzo finale; in altri termini, succede spesso che si azzerino i profitti, o si possa avere dei periodi in cui si lavora in perdita.
La gestione dei mercati del capitale multinazionale estrae la produzione dal preciso momento della trasformazione industriale ad un processo molto più complesso che dalla progettazione arriva fino alla commercializzazione, passando da pubblicità, promozione di vario genere e marketing.
Alla figura dell’operaio che realizza personalmente l’opera, si affiancano progettisti, pubblicitari, grafici, venditori, tutti espropriati della loro capacità operativa e del risultato finale. Non possiamo continuare a considerare la classe in sé composta dai soli operai.
Lo sviluppo della tecnologia, ed una possibilità di comunicazione sempre più sofisticata, consente di svolgere moltissime di queste attività da casa propria, o da qualsiasi altro luogo in cui ci si trovi. Questo ci ha portato ad un allungamento della giornata lavorativa di molte ore, senza che ci se ne renda conto.
Che la tecnologia sia fonte di disoccupazione è vero soltanto in parte: se ci prestiamo a svolgere tutte le attività da casa nostra o da luoghi esterni quello di lavoro, non facciamo altro che aumentare a dismisura lo straordinario, raramente riconosciuto e retribuito. Ovvio che si riscontri la necessità di altre assunzioni.
In realtà, tenendo ferma la nostra giornata lavorativa ad otto ore, evitando prestazioni extra (anche la semplice corrispondenza di posta elettronica), e non concedendo reperibilità non dovute (se non abbiamo mansioni che comportino problemi di altrui salute, non vedo quale motivazione la renda indispensabile), le nuove tecnologie prevedono manutenzione, configurazione, sviluppo, messa in sistema, … (tutte operazioni che ci troviamo a svolgere quasi automaticamente senza che ci vengano pagate) richiedendo quindi nuove assunzioni e nuove conoscenze professionali.
Siamo quindi di fronte a trasformazioni del ciclo produttivo con lo sviluppo di nuove professionalità e mansioni innovative.
Il profitto ha permeato tutti i livelli della società: la valorizzazione del prodotto è più importante della sua produzione, il mercato diventa globale ed ingloba la nostra vita: nascono professioni il cui unico scopo è aumentare le vendite.
Gli investimenti sono prevalentemente di tipo finanziario, finalizzati alla moltiplicazione del denaro (quasi sempre virtuale) e non al miglioramento/potenziamento del ciclo produttivo.
Un tentativo di riorganizzare il dissenso e di proporre un’alternativa non può prescindere da questi presupposti: una proletarizzazione diffusa e pertinente anche a settori sempre più importanti del cosiddetto ceto medio. Questo è un punto da approfondire che verrà ripreso in un prossimo futuro.