Marx e i marxisti hanno sempre tenuto una linea internazionalista, antirazzista, no border, per l’unità dei lavoratori. Lenin immigrazione lotta di classe.
[…] Marx ed Engels dedicarono la loro vita alla costruzione di partiti, movimenti e organizzazioni internazionali di ispirazione, indovinate un po’, marxista. Tuttavia, non ebbero mai cariche pubbliche, non erano neanche consiglieri di condominio. Il primo marxista che conquistò il potere politico alla testa di una rivoluzione per più di qualche giorno fu Lenin. Da questo punto di vista, le sue opinioni sul tema dell’immigrazione sembrano più rilevanti per capire come mettere in pratica l’internazionalismo su questo tema in termini di programma politico. […]
Come dovrebbe essere noto, Lenin fece parte della Seconda Internazionale (la Prima si era sciolta nel 1876-’77), all’interno della quale rappresentò l’ala più a sinistra. Si scontrò con la linea dominante nell’organizzazione fino a rompere completamente con i maggiori partiti che ne facevano parte e che distrussero l’Internazionale allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. La ragione fondamentale della rottura potrebbe essere descritta, in termini odierni, così: la gran parte dei partiti socialisti assunse posizioni sovraniste, di appoggio alla propria borghesia nazionale contro le altre nella Grande Guerra.
Contro questo che Lenin vedeva come un tradimento dell’internazionalismo marxista, venne in seguito fondata la Terza Internazionale ovvero l’Internazionale Comunista con sede a Mosca.
Molto prima di questa rottura, nell’agosto del 1907, la Seconda Internazionale tenne un suo congresso mondiale a Stoccarda. Lenin scrisse un rapporto dal congresso nel quale si intravedono i prodromi della futura degenerazione sovranista dei grandi partiti socialisti. Per esempio, Lenin criticò con indignazione il tentativo, da parte di alcuni socialisti dei Paesi imperialisti più rapaci, di approvare una mozione che potesse giustificare qualsiasi forma di colonialismo (fosse pure “colonialismo socialista”). […]
Un’altra discussione in cui emersero posizioni confuse, in questo caso sconfitte a larghissima maggioranza, fu quella sulla questione femminile e in particolare sul diritto di voto: una posizione minoritaria sosteneva, sulla base di sofismi tattici, che bisognasse prima combattere per il suffragio maschile e poi per quello universale. Va citata per ricordare che nella storia del movimento socialista e comunista non si è mai disdegnata la lotta per i cosiddetti diritti civili, la cui denigrazione è invece un cavallo di battaglia di Diego.
Ma c’è un passaggio interessante nel rapporto di Lenin che riguarda proprio le migrazioni di lavoratori. Infatti, dal Partito Socialista Americano (che ci aveva già provato in combutta con gli australiani e gli olandesi al congresso precedente) era giunta una proposta di questo tenore: «Combattere con tutti i mezzi a propria disposizione l’importazione premeditata di manodopera straniera a basso costo, calcolata per distruggere le organizzazioni dei lavoratori, per abbassare il tenore di vita della classe operaia e per ritardare la realizzazione finale del socialismo.»
Il delegato americano Hillquit difese la proposta di restrizioni all’immigrazione prendendosela in particolare coi cinesi e altri popoli poco industrializzati «che non sono in grado di assimilarsi ai lavoratori del Paese di adozione». Sono le stesse fesserie che sentiamo dire oggi sugli africani o sui musulmani che non possono “integrarsi”. […]
Lenin torna più di una volta sul tema nei suoi scritti. Nel 1913 scrive un breve articolo concentrato soprattutto sull’immigrazione in America, ma che parla delle migrazioni di lavoratori in generale. Un’argomentazione spesso usata dagli xenofobi è che la sinistra anticapitalista non si rende conto che è proprio il capitalismo oggi a causare e organizzare le migrazioni. Ovviamente, ce ne rendiamo conto; il punto è che questo non è sufficiente a decidere come schierarsi. Ecco come invece pone la questione Lenin:
«Il capitalismo ha creato un tipo particolare di migrazione di popoli. I paesi che si sviluppano industrialmente in fretta, introducendo più macchine e soppiantando i paesi arretrati nel mercato mondiale, elevano il salario al di sopra della media e attirano gli operai salariati di quei Paesi.
[…] Non c’è dubbio che solo l’estrema povertà costringe gli uomini ad abbandonare la patria e che i capitalisti sfruttano nella maniera più disonesta gli operai immigrati. Ma solo i reazionari possono chiudere gli occhi sul significato progressivo di questa migrazione moderna dei popoli. La liberazione dall’oppressione del capitale non avviene e non può avvenire senza un ulteriore sviluppo del capitalismo, senza la lotta di classe sul terreno del capitalismo stesso. E proprio a questa lotta il capitalismo trascina le masse lavoratrici di tutto il mondo, spezzando il ristagno e l’arretratezza della vita locale, distruggendo le barriere e i pregiudizi nazionali, unendo gli operai di tutti i paesi nelle più grandi fabbriche e miniere dell’America, della Germania, ecc.»Senz’altro è un pensiero più complesso dei memi razzisti e dei post di Salvini: è un pensiero dialettico. Lenin dice al tempo stesso che emigrare è tremendo, che l’immigrazione è un’occasione di business schifoso per i padroni, eppure ritiene che le migrazioni abbiano un significato progressista e addirittura rivoluzionario. E come chiama quelli che rifiutano quest’ultima verità? Reazionari. Cioè, diremmo oggi, fascisti o qualcosa del genere. […]
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