Il topolino di Bonisoli. Perché le novità sull’accesso ai musei sono solo fumo negli occhi

Il ministro dei beni culturali, Alberto Bonisoli, ha annunciato novità per l’accesso ai musei. Ma a nostro modo di vedere sono solo fumo negli occhi.

È curioso notare come il ministro dei beni culturali, Alberto Bonisoli, abbia impiegato più d’un mese (facendo partire la conta dalla data dell’annuncio dell’abolizione delle domeniche gratis nei musei) per partorire un pacchetto di misure che, di fatto, producono dei cambiamenti davvero minimi rispetto al passato.

L’unica vera novità è l’introduzione del biglietto ridotto a 2 euro per i giovani tra i diciotto e i venticinque anni: un provvedimento che appare sicuramente sensato, che consentirà agli under 25 d’avvicinarsi soprattutto ai musei più grandi (ovvero, tipicamente, quelli coi biglietti più costosi), e magari stimolerà la loro voglia d’approfondire e conoscere i musei delle loro città. Tuttavia è anche necessario osservare che, senza campagne di comunicazione mirate, la misura rischia di produrre scarsi effetti: secondo le ultime statistiche culturali dell’Istat, riferite al 2016, il 41,8% degli italiani che nel corso dell’anno non ha visitato neppure un museo, non lo ha fatto semplicemente perché non interessato.

 

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Il lavoro minorile in Italia tra Otto e Novecento, un percorso tra le opere d’arte

Il lIl lavoro minorile fu una piaga che rubò l\’infanzia a moltissimi bambini nell\’Italia tra Otto e Novecento. Ecco come lo vedevano i pittori del tempo.\nNel 1877, il Parlamento del giovane Regno d’Italia stabilì l’avvio di un’inchiesta sulla realtà dell’economia agraria del paese sedici anni dopo l’Unità: i documenti che la commissione d’inchiesta raccolse rappresentano la più dettagliata fotografia del settore nell’Italia degli anni Ottanta dell’Ottocento. Leggendo quei documenti, redatti con i toni neutri e asettici tipici dei documenti ufficiali, è possibile conoscere il destino ch’era riservato ai bambini che nascevano nelle famiglie dei contadini: venivano mandati negli asili d’infanzia fintanto che “per la loro tenera età non sono atti al lavoro”, e una volta raggiunta l’età per lavorare nei campi seguivano i loro genitori e cominciavano a dedicarsi ai mestieri della terra. Non era raro che già verso i sei anni i bambini iniziassero ad aiutare padre e madre nelle loro attività: negli atti della succitata inchiesta, nel rapporto sulla provincia di Catania, si legge che “le classi meno agiate adoperano prima del sest’anno di età i loro figli a qualche faccenda di casa o campestre”, e ciò anche in virtù del fatto che, nelle zone rurali, scuola e istruzione non erano ritenute utiliavoro minorile fu una piaga che rubò l’infanzia a moltissimi bambini nell’Italia tra Otto e Novecento. Ecco come lo vedevano i pittori del tempo.

Nel 1877, il Parlamento del giovane Regno d’Italia stabilì l’avvio di un’inchiesta sulla realtà dell’economia agraria del paese sedici anni dopo l’Unità: i documenti che la commissione d’inchiesta raccolse rappresentano la più dettagliata fotografia del settore nell’Italia degli anni Ottanta dell’Ottocento. Leggendo quei documenti, redatti con i toni neutri e asettici tipici dei documenti ufficiali, è possibile conoscere il destino ch’era riservato ai bambini che nascevano nelle famiglie dei contadini: venivano mandati negli asili d’infanzia fintanto che “per la loro tenera età non sono atti al lavoro”, e una volta raggiunta l’età per lavorare nei campi seguivano i loro genitori e cominciavano a dedicarsi ai mestieri della terra. Non era raro che già verso i sei anni i bambini iniziassero ad aiutare padre e madre nelle loro attività: negli atti della succitata inchiesta, nel rapporto sulla provincia di Catania, si legge che “le classi meno agiate adoperano prima del sest’anno di età i loro figli a qualche faccenda di casa o campestre”, e ciò anche in virtù del fatto che, nelle zone rurali, scuola e istruzione non erano ritenute utili.

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